Sotto il cofano infatti, come accaduto per la più recente RX-8, non vi era un propulsore tradizionale bensì un motore rotativo, un Wankel per essere precisi.
Una tipologia di motore molto particolare e unico nel suo genere, sia per costruzione che per funzionamento.
Ma andiamo per gradi.
Il motore rotativo, noto più comunemente come Wankel, venne introdotto originariamente nel 1957 e montato per la prima volta su di una vettura nel 1963: l’automobile in questione era la NSU Spider.
Per rispondere a questa domanda è necessario premettere che si tratta di un tipo di unità propulsiva il cui funzionamento è relativamente semplice e che ha ben poco in comune rispetto ad un propulsore tradizionale.
L’elemento basico ed essenziale del motore rotativo è rappresentato certamente dal rotore.
Quest’ultimo non è altro che un pistone a tre lobi che, ruotando eccentricamente attorno all’albero motore, genera un movimento rotativo all’interno delle camere di lavoro.
Ruotando con un movimento orbitante nella parte interna della carcassa, il rotore forma tre diverse camere che, a fasi alterne, vedono variare il proprio volume.
È proprio all’interno di queste camere che si creano e si compiono, nel medesimo istante, 3 cicli Otto da quattro tempi.
Proprio all’interno di queste stesse camere avvengono, ciclicamente, le quattro normali fasi di aspirazione, compressione, combustione e scarico.
La prima fase, quella di aspirazione, ha inizio quando la miscela di aria e benzina viene portata, tramite il condotto di aspirazione, dentro la camera statorica.
A questo punto il movimento del rotore riduce il volume a disposizione nella camera, in modo tale da permettere la compressione della miscela.
Nel momento in cui quest’ultima raggiunge i suoi valori ottimali, gli elettrodi presenti nella candela innescano la scintilla, facendo così avviare la fase di combustione, ovvero quella in cui si ha l’espansione dei gas: la pressione che ne scaturisce di conseguenza, costringe il rotore a proseguire il suo moto.
Al termine della fase di espansione si ha una ulteriore riduzione del volume della camera, con la quale i gas combusti vengono condotti all’esterno del motore attraverso lo scarico.
Le pressioni che vengono prodotte ed esercitate dai gas sul rotore durante la fase di espansione vengono trasmesse all’albero motore, che viene automaticamente trascinato in rotazione.
A questo punto, il moto si trasferisce direttamente al gruppo frizione e quindi al gruppo cambio, che lo trasmette alle ruote motrici.
Tra i suoi principali pregi ci sono certamente la fluidità di erogazione e di funzionamento, un rapporto peso/potenza favorevole (che consente inoltre di ottenere potenze maggiori rispetto ad un motore tradizionale) e una minore produzione di rumorosità e vibrazioni (grazie al numero tutt’altro che elevato di organi meccanici e parti in movimento).
Nonostante queste doti, unite anche ad una più semplice manutenzione, il motore rotativo presenta comunque alcuni limiti che ne hanno, negli anni, frenato la diffusione.
I più noti sono la scarsa disponibilità di coppia ai bassi e ai medi regimi, la ridotta durata dei segmenti di tenuta dei rotori contro le pareti del motore e i consumi di carburante molto elevati.
Come già accennato, il motore rotativo è una tipologia di propulsore poco diffusa proprio in virtù dei grossi limiti che lo caratterizzano.
Nonostante ciò, negli anni sono state equipaggiate diverse vetture, di diverse nazionalità, con propulsori di questo genere: ricordiamo la NSU Ro80, la Citroen GS Birotor e la Vaz 2108-91.
l’unica casa automobilistica che ha dimostrato di credere nel motore rotativo è stata Mazda che, nel corso del tempo, ha equipaggiato moltissime sue vetture con tale tipo di propulsore: dalle più note e già citate RX-7 ed RX-8 alle meno note (sopratutto al grande pubblico) Cosmo e Luce.
Nonostante la casa nipponica intellettuale non produca più auto dotate di motore Wankel, al recente Salone di Tokyo ha svelato il prototipo RX-Vision, che sembra far presagire un futuro ritorno del rotativo.